Nei giorni 16 e 17 Ottobre, nel salone S. Francesco del Convento di Montesanto a Todi: convegno organizzato dal Movimento Cristiano dei Lavoratori.
di Pietro
Barcellona, Paolo Sorbi, Mario Tronti, Giuseppe Vacca
La manipolazione
della vita, originata dagli sviluppi della tecnica e dalla violenza
insita nei processi di globalizzazione in assenza di un nuovo
ordinamento internazionale, ci pone di fronte ad una inedita
emergenza antropologica. Essa ci appare la manifestazione più grave
e al tempo stesso la radice più profonda della crisi della
democrazia. Germina sfide che esigono una nuova alleanza fra uomini e
donne, credenti e non credenti, religioni e politica. Pertanto
riteniamo degne di attenzione e meritevoli di speranza le novità che
nel nostro Paese si annunciano in campo religioso e civile.
A noi pare che
negli ultimi anni – un periodo storico cominciato con la crisi
finanziaria del 2007 e in Italia con il crepuscolo della “seconda
Repubblica” – mentre la Chiesa italiana si impegnava sempre più
a rimodulare la sua funzione nazionale, un interlocutore come il
Partito democratico sia venuto definendo la sua fisionomia originale
di “partito di credenti e non credenti”. Sono novità
significative che ampliano il campo delle forze che, cooperando
responsabilmente, possono concorrere a prospettare soluzioni efficaci
della crisi attuale.
Il terreno
comune è la definizione della nuova laicità, che nelle parole del
segretario del Pd muove dal riconoscimento della rilevanza pubblica
delle fedi religiose e nel magistero della Chiesa da una visione
positiva della modernità, fondata sull’alleanza di fede e ragione.
Nel suo libro-intervista “Per una buona ragione”, Pier Luigi
Bersani afferma che il “confronto con la dottrina sociale della
Chiesa” è un tratto distintivo della ispirazione riformistica del
Pd e che la presenza in Italia ”della massima autorità spirituale
cattolica” può favorire il superamento del bipolarismo etico che
in passaggi cruciali della vita del Paese ha condizionato
negativamente la politica democratica. Ribadendo, infine, la
“responsabilità autonoma della politica”, Bersani esprime una
opzione decisa per una sua visione “che non volendo rinunciare a
profonde e impegnative convinzioni etiche e religiose, affida alla
responsabilità dei laici la mediazione della scelta concreta delle
decisioni politiche”.
Per quanto
riguarda la Chiesa cattolica vi sono due punti della relazione del
cardinale Bagnasco alla riunione del Consiglio permanente dei vescovi
del 26-29 settembre 2011 che meritano particolare attenzione.
Il primo
riguarda la critica della “cultura radicale”: essa è rivolta a
quelle posizioni che, “muovendo da una concezione
individualistica”, rinchiudono “la persona nell’isolamento
triste della propria libertà assoluta, slegata dalla verità del
bene e da ogni relazione sociale”.
Il secondo è la
proposta di nuove modalità dell’impegno comune dei cattolici per
contrastare quella che in una precedente occasione aveva definito “la
catastrofe antropologica”: “la possibilità di un soggetto
culturale e sociale di interlocuzione con la politica”. E non è
meno significativa la sua giustificazione storica: “A dar coscienza
ai cattolici oggi non è anzitutto un’appartenenza esterna, ma i
valori dell’umanizzazione [che] sempre di più richiamano anche
l’interesse di chi esplicitamente cattolico non si sente”. In
altre parole, la “possibilità” di questo nuovo soggetto origina
dall’impegno sociale e culturale del laicato, nel quale i cattolici
sono “più uniti di quanto taluno vorrebbe credere” grazie alla
bussola che li guida: la costruzione di un umanesimo condiviso.
La definizione
della nuova laicità e l’assunzione di una responsabilità più
avvertita della Chiesa per le sorti dell’Italia esigono uno
sviluppo dell’iniziativa politica e culturale volta non solo a
interloquire con il mondo cattolico, ma anche a cercare forme nuove
di collaborazione con la Chiesa, nell’interesse del Paese. A tal
fine appare dirimente il confronto su due temi fondamentali del
magistero di Benedetto XVI che nell’interpretazione prevalente
hanno generato confusioni e distorsioni tuttora presenti nel discorso
pubblico: il rifiuto del “relativismo etico” e il concetto di
“valori non negoziabili”.
Per chi dedichi
la dovuta attenzione al pensiero di Benedetto XVI non dovrebbero
sorgere equivoci in proposito. La condanna del “relativismo etico”
non travolge il pluralismo culturale, ma riguarda solo le visioni
nichilistiche della modernità che, seppur praticate da minoranze
intellettuali significative, non si ritrovano a fondamento dell’agire
democratico in nessun tipo di comunità: locale, nazionale e
sovranazionale. Il “relativismo etico” permea, invece,
profondamente, i processi di secolarizzazione, nella misura in cui
siano dominati dalla mercificazione. Ma non è chi non veda come la
lotta contro questa deriva della modernità costituisca l’assillo
fondamentale della politica democratica, comunque se ne declinino i
principii, da credenti o da non credenti.
D’altro canto,
non dovrebbero esserci equivoci neppure sul concetto di “valori non
negoziabili” se lo si considera nella sua precisa formulazione. Un
concetto che non discrimina credenti e non credenti, e richiama alla
responsabilità della coerenza fra i comportamenti e i principii
ideali che li ispirano. Un concetto che attiene, appunto, alla sfera
dei valori, cioè dei criteri che debbono ispirare l’agire
personale e collettivo, ma non nega l’autonomia della mediazione
politica. Non si può quindi far risalire a quel concetto la
responsabilità di decisioni in cui, per fallimenti della mediazione
laica, o per non nobili ragioni di opportunismo, vengano offese la
libertà e la dignità della persona umana fin dal suo concepimento.
Ad ogni modo, se
nell’approccio alle sfide inedite della biopolitica ci sono stati e
si verificano equivoci e cadute di tal genere non solo in scelte
opportunistiche del centrodestra, ma anche nel determinismo
scientistico del centrosinistra, la riaffermazione del valore della
mediazione laica che sembra ispirare “la possibilità di un
soggetto culturale e sociale di interlocuzione con la politica”
rischiara il terreno del confronto fra credenti e non credenti.
Quindi dipenderà dall’iniziativa culturale e politica delle forze
in campo se quella “possibilità” acquisterà un segno
progressivo o meno nella vicenda italiana.
A tal fine noi
riteniamo che il Pd debba promuovere un confronto pubblico con la
Chiesa cattolica e con le altre confessioni religiose operanti in
Italia oltre che sui temi cosiddetti “eticamente sensibili”, su
quelli che attengono in maniera più stringente ai rischi attuali
della nazione italiana: la tenuta della sua unità, la “sostanza
etica” del regime democratico.
Tanto sull’uno,
quanto sull’altro, la storia dell’Italia unita dimostra che la
funzione nazionale assolta o mancata dal cattolicesimo politico è
stata determinante e lo sarà anche in futuro.