20100417

Globalizzazione reversibile


Eaarth. Making a Life on Tough New Planet
Terraa. Come farcela su un pianeta più ostile
di Bill McKibben . Edizioni Ambiente -2010 - 9788896238684
Nel mondo in cui siamo cresciuti, l’abitudine politica ed economica più radicata era la crescita. Da Adam Smith in poi, per due secoli e mezzo, abbiamo pensato che «di più» volesse dire «meglio», e che la risposta a ogni problema fosse un’altra spinta all’espan­sione. La ragione è che questa strategia ha funzionato, almeno per un lungo periodo: le vite comode e relativamente sicure condotte da noi occidentali sono il prodotto di die­ci generazioni di crescita economica costante. Siamo fortemente indebitati, come singoli e come nazioni, e nel tentativo di uscire da questo disastro economico abbiamo scommes­so ancora più denaro sulla possibilità di tornare a crescere, ancora una volta.
Uno «stimolo economi­co» è proprio questo: una scommessa sulla capaci­ tà di riavviare la macchina della crescita e di avere come ritorno non solo la somma puntata, ma an­che il debito che ha causato il problema. Certo, il debito ecologico che dobbiamo affron­tare è persino peggiore: l’anidride carbonica che si sta accumulando in atmosfera e sta modificando il pianeta. Anche in questo caso, la via d’uscita più ovvia è un nuovo ciclo di crescita, un’espansio­ne dell’attività economica progettata per sostituirei nostri sistemi a combustibili fossili con altri checi permetteranno di vivere come ora (o anche me­glio!), ma senza anidride carbonica. Ci siamo ag­grappati all’idea della «crescita verde» come solu­zione dei nostri problemi.
[...] Non penso che il paradigma della crescita sia all’altezza della situazione; penso che il sistema
abbia raggiunto il limite.
[...]  A maggio (2008), spedire un container da Shanghai agli Stati Uniti costava 8000 dollari, all’inizio del 2000 ne costava 3000. Il volume delle merci trasportate ha inizia­to a calare: Ikea ha aperto uno stabilimento in Vir­ginia, non in Cina. «Sono state colte le opportuni­tà più immediate della globalizzazione», ha scritto un’analista monetario della banca d’investimen­ti Morgan Stanley. Jeff Rubin, analista della CIBC World Markets di Toronto, è stato chiaro: «La glo­balizzazione è reversibile».
[...] Con l’au­mento del prezzo del petrolio, e il conseguente in­cremento della domanda di etanolo, è aumentato anche il costo del cibo: all’improvviso, le nazioni hanno iniziato a pensare che il libero mercato non fosse così ciecamente ovvio come avevano soste­nuto in precedenza.
[...] Proprio come abbiamo probabilmente osserva­to il picco del petrolio, è possibile che abbiamo osservato anche il picco della crescita economica, e quindi non riusciremo a far crescere ulteriormente
il sistema. I costi delle assicurazioni sono cresciu­ti, il prezzo del petrolio aumenta, l’economia rista­
gna, il denaro per nuovi investimenti evapora, e quando l’economia riprende ad accelerare il prez­zo del petrolio sale di nuovo. Secondo uno studio di McKinsey&Company del maggio 2009, un nuo­vo shock petrolifero è «inevitabile».[...] Se non fosse che molti paesi iniziano a usare il carbone, perché è più economico.
[... ] La complessità è il simbolo della nostra epoca, ma quella complessità si basa su combustibili fossi­
li economici e sul clima stabile che ha permesso un’enorme sovrabbondanza di cibo. La complessi­tà è la nostra gloria, ma anche il nostro punto de­bole. Con l’aumento del prezzo del petrolio e poicon la crisi del credito nel 2008 abbiamo iniziato a capire di aver legato le cose in modo tanto stret­to che piccole mancanze in un punto si riflettonosu tutto il sistema. Se l’ottusa decisione degli Sta­ti Uniti di usare parte del proprio raccolto di maisper produrre etanolo può aiutare a innescare rivol­te alimentari in 37 paesi, o se una serie di miopiscommesse sui mutui nel Nevada può raddoppiarela disoccupazione in Cina, allora abbiamo permes­
so ai nostri sistemi di intrecciarsi in modo eccessi­vo.
[tratto da: Sconfiggere il mito della crescita - LE SCIENZE n.500 aprile 2010 pag.53]