Eaarth. Making a Life on Tough New Planet
Terraa. Come farcela su un pianeta più ostile
di Bill McKibben . Edizioni Ambiente -2010 - 9788896238684
Nel mondo in cui siamo cresciuti, l’abitudine politica ed economica più radicata era la crescita. Da Adam Smith in poi, per due secoli e mezzo, abbiamo pensato che «di più» volesse dire «meglio», e che la risposta a ogni problema fosse un’altra spinta all’espansione. La ragione è che questa strategia ha funzionato, almeno per un lungo periodo: le vite comode e relativamente sicure condotte da noi occidentali sono il prodotto di dieci generazioni di crescita economica costante. Siamo fortemente indebitati, come singoli e come nazioni, e nel tentativo di uscire da questo disastro economico abbiamo scommesso ancora più denaro sulla possibilità di tornare a crescere, ancora una volta.
Uno «stimolo economico» è proprio questo: una scommessa sulla capaci tà di riavviare la macchina della crescita e di avere come ritorno non solo la somma puntata, ma anche il debito che ha causato il problema. Certo, il debito ecologico che dobbiamo affrontare è persino peggiore: l’anidride carbonica che si sta accumulando in atmosfera e sta modificando il pianeta. Anche in questo caso, la via d’uscita più ovvia è un nuovo ciclo di crescita, un’espansione dell’attività economica progettata per sostituirei nostri sistemi a combustibili fossili con altri checi permetteranno di vivere come ora (o anche meglio!), ma senza anidride carbonica. Ci siamo aggrappati all’idea della «crescita verde» come soluzione dei nostri problemi.[...] Non penso che il paradigma della crescita sia all’altezza della situazione; penso che il sistema
abbia raggiunto il limite.
[...] A maggio (2008), spedire un container da Shanghai agli Stati Uniti costava 8000 dollari, all’inizio del 2000 ne costava 3000. Il volume delle merci trasportate ha iniziato a calare: Ikea ha aperto uno stabilimento in Virginia, non in Cina. «Sono state colte le opportunità più immediate della globalizzazione», ha scritto un’analista monetario della banca d’investimenti Morgan Stanley. Jeff Rubin, analista della CIBC World Markets di Toronto, è stato chiaro: «La globalizzazione è reversibile».
[...] Con l’aumento del prezzo del petrolio, e il conseguente incremento della domanda di etanolo, è aumentato anche il costo del cibo: all’improvviso, le nazioni hanno iniziato a pensare che il libero mercato non fosse così ciecamente ovvio come avevano sostenuto in precedenza.
[...] Proprio come abbiamo probabilmente osservato il picco del petrolio, è possibile che abbiamo osservato anche il picco della crescita economica, e quindi non riusciremo a far crescere ulteriormente
il sistema. I costi delle assicurazioni sono cresciuti, il prezzo del petrolio aumenta, l’economia rista
gna, il denaro per nuovi investimenti evapora, e quando l’economia riprende ad accelerare il prezzo del petrolio sale di nuovo. Secondo uno studio di McKinsey&Company del maggio 2009, un nuovo shock petrolifero è «inevitabile».[...] Se non fosse che molti paesi iniziano a usare il carbone, perché è più economico.
[... ] La complessità è il simbolo della nostra epoca, ma quella complessità si basa su combustibili fossi
li economici e sul clima stabile che ha permesso un’enorme sovrabbondanza di cibo. La complessità è la nostra gloria, ma anche il nostro punto debole. Con l’aumento del prezzo del petrolio e poicon la crisi del credito nel 2008 abbiamo iniziato a capire di aver legato le cose in modo tanto stretto che piccole mancanze in un punto si riflettonosu tutto il sistema. Se l’ottusa decisione degli Stati Uniti di usare parte del proprio raccolto di maisper produrre etanolo può aiutare a innescare rivolte alimentari in 37 paesi, o se una serie di miopiscommesse sui mutui nel Nevada può raddoppiarela disoccupazione in Cina, allora abbiamo permes
so ai nostri sistemi di intrecciarsi in modo eccessivo.
[tratto da: Sconfiggere il mito della crescita - LE SCIENZE n.500 aprile 2010 pag.53]